Immortalità
dell’anima
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I Casi delle cosiddette esperienze pre-morte o esistenza fuori del corpo Nel
1975 i microprocessori furono utilizzati per la prima volta nel sistema
di misurazione cardiaca. Il filosofo e medico, Raymond Moody, pubblica
“Vita oltre la vita”. Qual è il rapporto tra i due
eventi? I microprocessori negli apparecchi di misurazione hanno permesso
di seguire in tempo reale l’attività del cuore. Prima se
il cuore del paziente cessava di battere dopo l’intervento, il personale
ospedaliero né constatava la morte dopo qualche tempo. Oggi il
minimo cambiamento è segnalato da suoni che mettono in allarme
il personale medico. La conseguenza è che il numero di rianimati
è molto elevato.
Raymond Moody nel 1965 è uno studente di filosofia. Un giorno incontra George Ritchie, medico psichiatra di Charlotsville che gli racconta come “era morto” nel 1943, quando era soldato semplice in una caserma del Texas. Egli, colpito da polmonite, entrò in coma profondo finché, nonostante i tentativi di rianimarlo, il cuore smise di battere e fu dichiarato ufficialmente morto. Un giovane internista sentì come un impulso a fare un ultimo tentativo, quanto l’équipe medica si era ormai allontanata dal corpo senza vita del paziente. Egli affonda un ago ipodermico nel cuore di Ritchie, che ritorna improvvisamente in vita. Al risveglio, Ritchie, racconta di aver girato per i corridoi dell’ospedale, inizialmente, senza accorgersi di essere staccato dal corpo. Racconta poi dell’incontro con un Essere di luce che trasmetteva potenza e amore nel quale avvertì la presenza di Gesù Cristo. Moody non dà gran peso a questo racconto, intanto continua i suoi studi in filosofia fino al dottorato e diventa professore all’università della Carolina del Nord. Nel 1970, decide di trattare il “Fedone”, opera in cui Platone affronta il tema dell’immortalità dell’anima. Dopo un dibattito in aula, uno dei suoi allievi gli racconta l’esperienza pre-morte della propria nonna. Moody collega questo racconto a quello narratogli dall’amico Ritchie, anni addietro. Si pone delle domande e avvia delle ricerche per appurare l’esistenza di casi simili. Per meglio svolgere questo lavoro decide di diventare medico. In Georgia s’iscrive alla facoltà di medicina dove concluderà il dottorato. Durante gli anni di studio raccolse circa centocinquanta testimonianze, finché non giunse alla decisione di scrivere un libro. Qui, raccolse e commentò tutto il materiale, ormai, in suo possesso. Durante il quarto anno di medicina pubblicò il suo libro: “La Vita oltre la vita”, che ebbe un enorme successo (dieci milioni di copie vendute e tradotte in quindici lingue). Dopo Moody altri studiosi s’interessarono a questi casi. Inizialmente scettici, si prefissero lo scopo di sconfessare Moody. Michael Sabom e Maurice Rawlings cardiologi, avvieranno studi in questo campo e s’incontreranno in molti più casi di esperienze pre-morte, grazie al progresso, nel campo medico della rianimazione dei pazienti. Furono avvalorate le tesi di Moody. Egli aveva posato la “pietra angolare”. Nella prima opera cui fece seguito: “Nuove ipotesi sulla vita oltre la vita”, aveva identificato quattordici caratteristiche comuni ai pazienti che n’erano ritornati: Il soggetto dichiara sempre che ciò che ha vissuto non si può descrivere a parole. Il soggetto sente che qualcuno lo dichiara morto o si sente estraneo alla situazione. Il soggetto non sente più alcun dolore e avverte pace. Il soggetto sente un rumore simile ad uno scampanio. Il soggetto esce dal corpo e fluttua osservando ciò che succede attorno a lui. Il soggetto è aspirato in una specie di tunnel. Alcuni parenti della sua famiglia, deceduti da qualche tempo, gli appaiono e lo aiutano. Il soggetto scorge una luce molto intensa. Il soggetto rivive la propria vita nei minimi particolari. Il soggetto incontra una specie di frontiera. Il soggetto si ritrova improvvisamente nel suo letto. Il soggetto trova difficoltà a raccontare la sua storia. Il soggetto incomincia a leggere per cercare di capire. Il soggetto non ha più paura della morte. Nel 1977 Ken Ring, professore di psicologia alla Università del Connecticut dopo aver letto il libro di Moody, s’interessò alla cosa effettuando ricerche ancora più approfondite e dettagliate, usufruendo di test, onde dimostrare la veracità dei racconti. Egli come gli altri studiosi, già citati, dovette arrendersi all’evidenza che certe esperienze pre-morte erano scientificamente inspiegabili. Egli evidenziò, nei casi studiati, solo cinque stadi principali: Sensazione di pace e serenità (60% dei casi esaminati) Uscita dal corpo (37%) Entrata nell’oscurità – del tunnel – (23%) Visione della luce (16%) Fusione con la luce (10%). Gli studi su questi casi toccarono l’apice con il dottor Melvin Morse e la sua équipe che stabilirono: 1) Per avere un’esperienza pre-morte il soggetto doveva per forza sfiorare la morte; 2) l’esperienza non poteva, assolutamente essere legata ad un’overdose di farmaci (antidepressivi, calmanti, anestetici, ecc.); 3) a causa di alcuni medicinali, come il Valium, che causavano amnesie, i pazienti avevano dimenticato totalmente gli ultimi momenti della loro vita (ad esempio prima dell’incidente), inspiegabilmente ricordavano tutto, dell’esperienza, fuori dal corpo. Su queste esperienze, la Chiesa ci va, giustamente con i piedi di piombo. Il pensiero espresso da alcuni teologi sull’argomento è che, si può parlare di morte (stando alla Rivelazione divina), solo quando ci si distacca dal corpo e si passa definitivamente nell’aldilà. Noi certamente non dobbiamo accogliere tali esperienze, come dogma di fede o Verità Rivelata. E’ certo però che i molti particolari che accomunano i casi di esperienze pre-morte e i fatti umanamente inspiegabili che né derivano (ad esempio: persone che dicono nei minimi indizi ciò che è accaduto nel luogo loro circostante mentre giacevano morti o le persone che dopo tal esperienza hanno incominciato a parlare lingue che non avevano mai conosciuto prima) fanno riflettere e diciamolo ci fanno temere meno la morte. 1
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