Approfondimento sul Vangelo della domenica

"Tante volte, nell’ascoltare la Parola di Dio, ci poniamo delle domande sul significato di alcune espressioni che per noi, nell’oggi, risultano inusuali. A volte non riusciamo a prestare la dovuta attenzione all’omelia del sacerdote, durante la Santa Messa. Capita, pure, che il sacerdote non può spiegare tutto nei pochi minuti dell’omelia, alcune pagine della Sacra Scrittura sono, infatti, ricchissime di significato.
Per questo motivo abbiamo pensato a questa “pagina” settimanale che ha lo scopo di rispondere alle domande che la Parola di Dio fa sorgere in noi."


I domenica dopo Natale / C - SANTA FAMIGLIA
31 dicembre 2006

Lc 2,41-52

[41] I genitori di Gesù, si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. [42] Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; [43] ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. [44] Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; [45] non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. [46] Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. [47] E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. [48] Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». [49] Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». [50] Ma essi non compresero le sue parole.
[51] Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. [52] E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.



D: Perché ogni anno la Santa Famiglia si recava a Gerusalemme? Non potevano festeggiare la Pasqua a Nazareth?
R: Perché secondo le prescrizioni della legge ebraica è d’obbligo, che ogni uomo appartenente al popolo eletto, esclusi i bambini, i vecchi, i malati e gli schiavi, dovevano recarsi tre volte all’anno al tempio di Gerusalemme in occasione delle principali feste ebraiche, cioè: la Pasqua, la Pentecoste (o “festa delle settimane”, o ancora “del cinquantesimo giorno”) e la festa dei Tabernacoli (o “delle tende”); per solennizzarle in comune.

D: Queste feste avevano la stessa valenza religiosa come la Pasqua e la Pentecoste per noi oggi?
R: Non esattamente, per gli ebrei, queste feste possedevano un valore religioso ma anche storico-nazionale, poiché ricordavano al popolo importanti eventi della sua storia.
La Pasqua ricordava il passaggio dalla schiavitù alla libertà e doveva essere celebrata il 14° giorno del primo mese, detto Abib (più tardi chiamato Nisan, corrispondente all’incirca al mese di Aprile cfr. Es 12-13; Lv 23; Dt 16; 2Re 23,21-23; 2Cr 35,1-19; Ez 45,21-24; Nm 9,1-14); la Pentecoste veniva celebrata alla fine della mietitura, per ringraziare Dio della raccolta del grano, era la festa delle sette settimane, la seconda in ordine d’importanza. Essa cadeva nel 50° giorno, ossia 7 settimane dopo la presentazione del covone delle primizie, durante la festa degli azzimi che era collegata alla Pasqua (il termine “azzimo” indicava il pane non lievitato. La festa degli azzimi durava 7 giorni, fino al 21 del primo mese). La Pentecoste ricordava la consegna, da parte di Dio, del Decalogo sul monte Sinai a Mosé, 50 giorni dopo l’uscita dall’Egitto (Es 34,22; Dt 16,10.16; 2Cr 8,13; Es 23,16; Nm 22,26). La festa dei Tabernacoli ricordava anch’essa la fuga dall’Egitto, veniva celebrata il 5 del mese di tishiri (Settembre-Ottobre). I fedeli costruivano nelle piazze, capanne di rami, ad imitazione del padiglione (tabernacolo) fatto costruire da Mosé nel deserto, e si recavano festosamente al Tempio (Lv 23, 39ss.).

D: Perché la Sacra Famiglia si reca a Gerusalemme solo una volta all’anno?
R: Perché per gli ebrei palestinesi distanti da Gerusalemme e per quelli che abitavano in terre pagane, l’osservanza di tale legge risultava abbastanza difficile. Di solito si sceglieva di offrire a Dio il sacrificio del viaggio, una volta l’anno, in occasione della solennità della Pasqua. Così faceva anche la Santa Famiglia che viveva nella lontana Nazareth.

D: Quale significato acquista, la Pasqua e la Pentecoste nel Cristianesimo?
R: La Pasqua diventa la celebrazione della “liberazione dalla schiavitù del peccato” tramite il sacrificio del Cristo, dell’Agnello immacolato. Gesù durante la solenne celebrazione della Pasqua ebraica istituisce il sacramento dell’Eucaristia, (detta anche, Cena del Signore o Santa Messa) e il sacramento dell’Ordine sacro “…Questo è il mio corpo…Questo è il mio sangue…Fate questo in memoria di me”) e dà il comandamento della carità che riassume e guida tutti i comandamenti “…come ho fatto io, così fate anche voi”(Gv 13,15). La Pentecoste diventa la festa che ricorda la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli riuniti con Maria Vergine nel Cenacolo e di conseguenza, il passaggio dalla Legge divina (il Decalogo) accolta come realtà estrinseca alla creatura umana; alla Nuova Legge accolta come realtà intrinseca all’uomo, in virtù dell’azione dello Spirito Santo.

D: La festa dei tabernacoli o delle capanne, non ha avuto una continuazione nel Cristianesimo?
R: La festa dei tabernacoli invitava alla riunione nella gioia. Era, soprattutto, nel primo e nell’ottavo giorno che si era tutti chiamati in solenne convocazione. Dal primo all’ottavo giorno, poi, erano offerti sacrifici al Signore. Potremmo vedere nella solennità del Corpus Domini la continuazione di questa festa ebraica. Infatti, è nell’Eucaristia che il popolo cristiano trova la massima espressione della comunione, della convocazione. L’Eucaristia è, inoltre, fonte di gioia poiché attraverso Essa, Cristo Gesù è fisicamente presente in mezzo a noi. Infine, per noi cristiani cattolici, il tabernacolo che conserva la SS. Eucaristia e che ci ricorda il Sacrificio del Figlio di Dio per la salvezza di tutta l’umanità, è il punto più importante di una Chiesa.

D: La scena di Gesù tra i dottori del Tempio richiama qualche altra scena importante?
R: Si, essa richiama quella della presentazione di Gesù, avvenuta nello stesso luogo sacro e ne diventa un episodio parallelo. Queste due presenze di Gesù nel Tempio, considerato da tutti gli ebrei come sacra ed unica dimora di Jahweh, sono due episodi legati intimamente tra loro e considerati dall’autore come due manifestazioni di Gesù. In ambedue i racconti, l’evangelista osserva che Gesù sale a Gerusalemme (Lc 2,22; 2,42), e accenna al ritorno a Nazareth (Lc 2,39; 2,51) ed usa la stessa formula conclusiva (Lc 2,40; 2,52).

D: Ma questo andare di Gesù a Gerusalemme e quindi al Tempio, non è il filo conduttore della struttura che S. Luca dà a tutto il suo Vangelo?
R: Si, infatti egli ci mostra Gesù, neonato e adolescente al Tempio, per poi ripresentarlo adulto che dalla Galilea va verso Gerusalemme, luogo della Passione, Morte e Risurrezione. La strada che percorre Gesù deve essere, secondo l’insegnamento che vuole darci S. Luca, la via che i credenti devono percorrere col Maestro. Essi devono attingere da Dio (come Gesù bambino al Tempio) la forza per l’evangelizzazione e devono camminare verso Dio, con la consapevolezza delle difficoltà (il Calvario) inerenti a questa scelta.

D: S. Luca ha indicato l’età di Gesù (Lc 2,42), per dire ai lettori che il Cristo era al suo primo consapevole pellegrinaggio alla città santa?
R: No, dal contesto non si evince ciò, ma che l’evangelista abbia voluto sottolineare che un fanciullo di dodici anni mostrava tanta sapienza da mettere in difficoltà i dottori del Tempio.
D’altronde, anche se le donne e i bambini non erano obbligati dalla Legge, a compiere il pellegrinaggio nelle grandi solennità ebraiche, le famiglie pie vi si recavano per devozione, per accompagnare i maschi della famiglia e per abituare i bambini a tale pratica. S. Luca, infatti, inizia questa pericope scrivendo che “I genitori di Gesù, si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua”, certamente portavano con loro il bambino divino.

D: L’evangelista scrive: “terminati i giorni…”; quanti dovevano essere i giorni della partecipazione alla festività?
R: Le feste di Pasqua duravano 7 giorni, e si concludevano con una grande solennità: non era tuttavia obbligatorio rimanere per un’intera settimana nella città santa; S. Luca lascia intendere che i genitori di Gesù vi soggiornarono fino al termine di essa.

D: L’episodio dello smarrimento di Gesù, può far pensare ad una certa negligenza o troppa fiducia nella maturità del giovanetto, da parte di S. Giuseppe e di Maria Vergine Immacolata?
R: No, va escluso. I bambini si muovevano nell’ambito della carovana, cioè tra persone conosciute e quindi i genitori non avevano sempre gli occhi addosso ai propri figli. D’altronde la prudenza che il Figlio di Dio, indubbiamente, manifestava era tale che i suoi genitori gli lasciavano una certa autonomia. Al di là di quanto detto però, il vero motivo dello smarrimento, va cercato nel fatto che Gesù aveva un suo piano da seguire ed una missione da compiere, nel centro religioso del giudaismo, già fin dalla sua giovanissima età di 12 anni.

D: Gesù, forse, perché preso dal fervore di annunciare la Parola, che “cresceva” dentro di se, non si è avveduto del tempo che trascorreva e della preoccupazione dei suoi genitori?
R: No, dal contesto non si evince una tale supposizione. Al contrario, Gesù, con un atto positivo della sua volontà stabilì di rimanere nella città santa.

D: L’evangelista nello scrivere “dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio…” intende dare un significato anche allegorico, alla pericope?
R: Forse lo Spirito Santo attraverso S. Luca ha voluto preannunciare, in questo evento e con queste parole: “In cerca di lui”= la lacerante angoscia di Maria di fronte alla Passione e Morte del Figlio.
Con le parole: “Dopo tre giorni”= i tre giorni che “vedranno” la Morte, la Discesa del Figlio di Dio nello Sceol o Ade (luogo dove, secondo la concezione biblica, le creature umane “i Refaim” -Gb 25,6- che vuol dire antenati o trapassati, continuavano a vivere come ombre della loro vita di prima sulla terra) e la Risurrezione.
Infine, con le parole: “Lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori”= la glorificazione del “Figlio dell’Uomo” che diviene la fonte e il centro della Nuova Creazione.

D: Cosa ci vuole insegnare S. Luca, quando ci dice che Gesù li ascoltava e li interrogava?
R: Che Gesù all’età di dodici anni, si comportava come un dottore pienamente informato sulla legge ebraica, poiché poneva dei quesiti ai maestri presenti e rispondeva a quelli che gli venivano proposti con una chiarezza e penetrazione che, sorprendevano in un adolescente.

D: E’ possibile che questo episodio sia stato romanzato da S. Luca, allo scopo di trasmettere un insegnamento cristologico?
R: E’ possibile che l’evangelista abbia usufruito del fatto storicamente accaduto dell’incontro-dibattitto di Gesù dodicenne con i sapienti del Tempio per dare un insegnamento cristologico, adattando a questo scopo l’episodio che potrebbe non essere all’origine esattamente così. Infatti, S. Luca ha voluto farci vedere che Gesù è venuto da Dio per occuparsi fondamentalmente delle cose del Padre suo. La sua sapienza non proviene dai maestri della terra e il suo messaggio non è effetto del pensare del mondo. Maria e Giuseppe, come genitori, mostrano premura per il bambino e lo cercano angosciosamente; tuttavia Gesù li trascende, deve occuparsi delle cose del Regno divino, ed essi non lo comprendono. Fra Gesù e i suoi genitori si produce una scissione che è testimoniata anche dagli altri Vangeli (Mc 3,20-21.31-35; Gv 2,4). Il senso fondamentale di questa scissione è teologico: la presenza di Dio in Gesù, sorpassa tutte le possibilità di comprensione dell’uomo.

D: Come la Chiesa, illuminata dal pensiero biblico, considera la famiglia?
R: La Chiesa considera la famiglia come la prima società naturale, titolare di diritti propri e originari e la pone al centro della vita sociale. Infatti, la famiglia che nasce dall’intima comunione di vita e d’amore coniugale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, possiede una sua specifica e originaria dimensione sociale, in quanto è luogo primario di relazioni interpersonali. Essa è un’istituzione divina che sta a fondamento di ogni ordinamento sociale.

D: L’immagine del Figlio di Dio, che per crescere come vero uomo ha bisogno di Maria e Giuseppe, cosa insegna a noi oggi?
R: Che nella famiglia, il dono reciproco di sé da parte dell’uomo e della donna uniti in matrimonio, crea un ambiente di vita nel quale il bambino può sviluppare le sue potenzialità, diventare consapevole della sua dignità e prepararsi ad affrontare la sua unica e irripetibile esistenza.




Per maggiori approfondimenti:
Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria editrice Vaticana, 2004, nn. 209-214
I quattro Vangeli, ed. BUR, 2005.
Nuovo Dizionario Enciclopedico, illustrato della Bibbia, ed. Piemme, 2005.

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