V domenica di Pasqua/C
6 maggio 2007
Gv 13,31-35
[31]Quand'egli (Giuda) fu uscito (dal cenacolo), Gesù disse:
«Adesso il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche
Dio è stato glorificato in lui. [32]Se Dio è stato glorificato
in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà
subito. [33]Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete,
ma come ho gia detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io
voi non potete venire. [34]Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate
gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi
gli uni gli altri. [35]Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli,
se avrete amore gli uni per gli altri».
D:
Per un ebreo, cosa vuol dire essere glorificato?
R: Vuol significare che viene dato valore alla propria esistenza, che
vengono rivelate le proprie reali capacità.
D: Gesù afferma che il Figlio è
stato glorificato come Dio stesso è glorificato; cosa indica
il concetto di gloria nell’AT?
R: Il concetto espresso dai termini “kabod” (ebraico)
e “doxa” (greco) che in italiano traduciamo con
l’inespressivo termine “gloria” è ricco di
contenuti: esso indica il peso, l’onore, la gloria, lo splendore.
La persona “pesante” a causa della sua ricchezza,
della sua rilevanza sociale ne riceve la riconoscenza, cioè,
l’onore. Nelle grandi teofanie, Dio manifesta la sua “pesantezza”
per mezzo dei prodigi che l’accompagnano (Es 24,16-17). Il riconoscimento
da parte della creatura di questa “pesantezza-potere”
è l’onore che si rende a Dio. Nell’AT, se la “santità”
esprime la trascendenza di Dio, la gloria esprime la sua immanenza,
la sua manifestazione.
D: Lo stesso concetto, cosa esprime nel NT?
R: Nel NT, il termine compare ben 165 volte. Il NT attinge dall’AT,
per quanto riguarda la ricchezza di contenuti del termine “gloria”,
ma li “amplifica”. La gloria divina che, in altri
tempi, si manifestava sul Sinai, nel Tempio ecc. attraverso la nube,
il fuoco, la luce, si manifesta ora in Gesù e attraverso Gesù.
Giovanni attribuisce la gloria a cristo durante la sua vita terrena,
perché è la manifestazione di Dio, mentre Paolo, Marco,
Matteo e Luca (prescindendo da Luca nell’episodio della Trasfigurazione;
cfr. Lc 9,35), gliela attribuiscono solo dopo la Risurrezione. Nel Verbo
incarnato è presente la gloria di Dio come nell’AT era
presente nel Tabernacolo e nel Tempio (Gv 1,14). Cristo risuscitato
è il Signore della gloria (1Cor 2,8). “Dare gloria
a Dio” significa riconoscere il potere salvatore di Dio manifestatosi
in Cristo (Lc 2,8). Cristo comunica a coloro che credono in lui quella
gloria che egli stesso ha ricevuto dal Padre (Rm 3,33). La giustificazione
è fondamentalmente una partecipazione alla “gloria”
escatologica (Rm 8,30).
D:
Gesù parla di amore, cosa significa per la fede cristiana questa
parola?
R: Per la fede cristiana è la parola chiave e il suo contenuto
più credibile. Senza l’amore, il Cristianesimo cesserebbe
di esistere e diventerebbe semplice gnosi (ricerca di pura conoscenza
o ricerca del divino attraverso la sola conoscenza). Per tutta la storia
della teologia, fino a giungere all’enciclica “Dives
in misericordia” di Giovanni Paolo II, l’amore è
assunto come la norma ultima dell’agire cristiano e come il fondamento
della fede. Esiste, infatti, una circolarità tra fede e amore
che permette di verificare sempre, sia la dinamica della fede che la
testimonianza dei credenti. L’amore è il criterio per verificare
la vera fede come c’evidenziano le parole chiare della lettera
di S. Giacomo: “Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami
la tua fede senza le opere e io con le mie opere ti mostrerò
la mia fede” (Gc 2,18).
D: Cosa afferma il grande teologo S. Tommaso d’Aquino,
riguardo al concetto di “amore”?
R: Egli scrive che “l’amore è forma della fede
in quanto attraverso l’amore, la fede raggiunge la sua perfezione”
(II, II, 4, 4).
D: Cosa indica l’avverbio “adesso”
al v.31?
R: L’avverbio serve ad evidenziare che dopo l’uscita di
scena di Giuda, inizia una nuova serie di eventi che hanno come segno
distintivo la glorificazione di Gesù.
D: Gli eventi narrati nei capitoli precedenti
cosa hanno voluto mostrare?
R: L’autore ha voluto insegnarci che il Maestro resta il dominatore
degli avvenimenti: egli ha svelato la persona del traditore e lo ha
fatto allontanare dal gruppo dei discepoli; in tal modo il Salvatore
ha determinato l’ora delle Tenebre ma anche della sua glorificazione.
D: In Giovanni qual è il tempo della glorificazione
del Cristo?
R: Per l’evangelista il tempo della glorificazione coincide col
tempo della Crocifissione.
D: Qual è il significato di queste parole:
“…E lo glorificherà subito”?
R: Esse significano che Dio glorificherà ben presto il Figlio
sia con la Risurrezione e l’esaltazione celeste (cfr. Gv 6,62;
20,17), come anche con l’invio dello Spirito Santo e con la misteriosa
presenza (dimora) del Figlio in tutti i credenti (discepoli).
D: Perché Gesù dice anche ai discepoli,
come ai giudei: “voi mi cercherete, ma come ho gia detto ai
Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire”
?
R: Perché anche i discepoli vivranno la separazione dal Maestro
e la sua assenza renderà più acuto il bisogno di cercarlo.
La glorificazione del Messia allontana definitivamente Gesù dagli
ebrei, i quali non hanno creduto (Gv 8,21); per i discepoli invece tale
separazione durerà soltanto per breve tempo (cfr. 14, 2-3).
D: Ma perché non possono andare dove va
Gesù?
R: perché per il momento i discepoli non sono in grado di associarsi
alla morte del Maestro (cfr. Gv 16,32), di conseguenza non possono neppure
seguirlo nella Gloria. In altro luogo Cristo rileva che i discepoli
avevano una conoscenza e una fede ancora imperfette per poterlo seguire
in tutto.
D: “Vi do un comandamento nuovo…”
(cfr. vers. 34); L’ AT non presentava comandamenti sull’amore?
Perché Gesù lo chiama comandamento nuovo?
R: Certo, anche l’AT conosce l’amore del prossimo (cfr.
Lv 19,18) e Cristo ne riconosce la validità; tuttavia qui il
Maestro chiama “nuovo” il comandamento dell’amore
del prossimo, perché tale amore dovrà caratterizzare i
suoi discepoli e la sua Chiesa. Si tratta non soltanto del semplice
amore del prossimo, ma di quella carità fraterna che dovrà
contraddistinguere la comunità dei discepoli: questi costituiscono
una società di fede, tenuta unità dall’amore reciproco
(amatevi gli uni gli altri).
Il precetto dell’amore fraterno è chiamato nuovo per un
motivo profondo che lo anima: l’amore fraterno che deve regnare
tra i discepoli riproduce l’amore che Cristo nutre per essi. L’amore
fraterno raggiunge così la sua perfezione e diventa il segno
caratteristico dei tempi nuovi, cioè degli ultimi tempi che sono
iniziati con la venuta di Cristo (cfr. 1Gv 2,8; 3,16; 4,10-12)
Per ulteriori approfondimenti:
Dizionario teologico Enciclopedico, Piemme, Casale
Monferrato 2004.
Benedetto Prete, I quattro vangeli, BUR, Milano 2005.