Approfondimento sulla Sacra Scrittura

"Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, devoti di Maria SS., Pace e bene.
Da questa domenica 09/09/07, le domande e risposte sul Vangelo, diventeranno domande e risposte sulla Bibbia. Il lavoro sarà svolto dando uno sguardo meno minuzioso al Vangelo della domenica, onde dare spazio alla trattazione di tematiche della dottrina della Chiesa Cattolica nel loro primo fondamento: La Sacra Scrittura."

Don Salvatore Di Mauro OFS - Vicario parrocchiale


XXIII domenica del tempo Ordinario/C
9 settembre 2007

Lc 14,25-33

[25]Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: [26]«Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. [27]Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.
[28]Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? [29]Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: [30]Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. [31]Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? [32]Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace. [33]Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.



Domanda: La torre richiamata nel brano evangelico di oggi, ha qualche riferimento nell’AT?
Risposta: Si, essa richiama l'esperienza biblica di Babele. Nella costruzione della torre di Babele, troviamo il segno della presunzione umana che pretende di arrivare a Dio solo con i propri mezzi. Gesù usa proprio il simbolo della torre come elevazione dell'uomo verso Dio. Interessante è come colloca quest’immagine, insieme a quella del re che si muove alla guerra. Nel brano del Vangelo, queste due parabole sono inserite tra due affermazioni molto significative che riguardano il discepolato di Gesù. All'inizio vi è il riferimento alla croce. Pensiamo alla Croce di Cristo, strumento di redenzione ed elevazione che permette all'uomo quell’unione con Dio, significata dalla costruzione della torre. Pensiamo alle nostre croci personali. Quante volte queste croci possono abbatterci e portarci alla disperazione. Portiamo la nostra croce, ma seguiamo Cristo; in lui, infatti, essa diventa mistero di Amore e di Salvezza. La Croce di Cristo è la vera torre che, innalzata verso il cielo, abbraccia il mondo intero per elevarlo al Padre. La croce, anche quella quotidiana, è lo strumento che Dio ci ha fornito perché possiamo cooperare alla realizzazione di questa Torre.

Domanda: Noi vogliamo seguire Gesù, ma le esigenze che derivano dalla sua sequela sono troppo dure per noi, come fare?
Risposta: Cristo invita insistentemente i suoi discepoli a camminare alla sua sequela. Però li mette prima sull'avviso: non devono impegnarsi alla leggera, senza riflettere, per un momentaneo entusiasmo che non ha futuro. Le esigenze della "sequela" sono molto grandi: per seguire Gesù si deve rinunciare a tutto, anche ai legami più cari, anche alla propria vita.
Chi si vuole impegnare al servizio del Maestro divino, deve farlo dopo attenta e seria riflessione: all'orizzonte del cristiano si profila la croce, come era ben visibile sullo sfondo della vita di Cristo.
Vogliamo mostrarci sorpresi di ciò e gridare allo scandalo? Per nulla! Le esigenze di Cristo sono le necessità stesse dell'amore, quelle che hanno fatto accettare anche a lui la croce per la salvezza del mondo. Essere discepoli di Cristo vuol dire rinunciare, rinunciare per amore... La rinuncia evangelica non è né ignoranza né indifferenza. Non si tratta di chiudere gli occhi o di tapparsi le orecchie. La rinuncia, per essere valida, deve esser fatta in piena libertà e con perfetta consapevolezza. Essere discepoli di Cristo vuol dire accettare, accettare per amore. La rinuncia ha senso solo se permette di rispondere agli appelli del Signore e di volere solo quello che lui vuole. "Sia fatta la tua volontà" - diciamo nel Padre Nostro. Dobbiamo accettare gli obblighi della vita sociale, familiare e professionale, le preoccupazioni, gli insuccessi, le malattie, il dolore. Queste sono tutte croci che dobbiamo portare con amorosa sottomissione alla volontà di Dio.
Sono esigenze tremende, ma vissute con coraggio, in unione col Crocefisso, danno un valore eterno alla vita presente.

PARADISO

Domanda: Nell’AT troviamo la parola “paradiso”?
Risposta: Si, innanzitutto nel primo libro della Bibbia: Gn 2,8-10. Tale parola che ricorre nel testo citato ben tre volte e altre due volte nel resto del capitolo, corrisponde all’ebraico “gan” che fu poi tradotto dai 70 saggi nel termine greco “paradèisos” da cui l’italiano “paradiso”. Letteralmente “paradèisos” significava “muro di cinta” di un parco o giardino, col tempo assumerà il significato di “parco o giardino”. Stando all’interpretazione letterale, Dio pose gli antenati del genere umano in una villa recintata con tutti i confort, simile alle ville dei re e dei nobili orientali del tempo in cui vive l’autore sacro che scrive questi versetti.

Domanda: La villa (il Paradiso) era collocata nell’Eden. Cosa bisogna intendere per Eden?
Risposta: Il grande biblista S.Girolamo definiva l’Eden “orto di delizie”, una terra cioè, piacevole che poteva rendere felice l’uomo. L’autore sacro non intendeva, quasi certamente, dare una precisa ubicazione geografica, ma rendere evidente la piena felicità delle prime creature umane, prima del peccato.

Domanda: Qual è il significato delle parole: “albero della vita” e “albero della conoscenza del bene e del male”, che troviamo in Gn 2,8-10?
Risposta: Alcuni biblisti ritengono che l’autore sacro avesse in mente due alberi reali, a cui Dio avesse dato il potere di donare vita eterna e conoscenza totale (bene e male) alla creatura umana che ne avesse mangiato i frutti; altri invece ritengono che gli alberi hanno solo un valore simbolico. “L’albero della vita” serve per indicare che l’essere umano aveva avuto da Dio il dono di non sperimentare la morte così come oggi la sperimentiamo (senza il peccato sarebbe stata, un passaggio dall’aldiquà all’aldilà, senza dolore fisico, psicologico e spirituale). “L’albero della conoscenza del bene e del male” è simbolo della facoltà di decidere da se stessi ciò che è bene e ciò che è male. Tale facoltà è un attributo divino. Adamo ed Eva con la loro disobbedienza hanno cercato di usurpare questa prerogativa divina, attentando alla sovranità di Dio e peccando d’orgoglio.

Domanda: Quale sarebbe stata la sorte dell’umanità senza il peccato?
Risposta: Si può pensare, per analogia alla dottrina sulla resurrezione (cfr. 1Cor 15,35-38), che dopo un certo numero di anni (una caratteristica sarebbe stata la longevità), il corpo di ogni singolo uomo sarebbe stato sottratto alle leggi biologiche mediante una trasformazione e trasferito in un mondo superiore, trascendente, glorioso.

Domanda: In base alla giusta interpretazione del 1° libro della Bibbia, cosa ci insegna la Tradizione della Chiesa, riguardo al Paradiso primordiale?
Risposta: Che lo stato di felicità originale della creatura umana, appartiene alla storia. Ci fu veramente il Paradiso di Adamo. Alla sua origine, l’essere umano, fu realmente costituito in uno stato di giustizia e d’integrità fisica, morale e spirituale. Ci fu un tempo in cui l’uomo era libero dal dolore, dalla malattia, dalla morte e i rapporti con Dio erano fondati su una comunione filiale che illuminava anche i rapporti tra le creature umane e il resto del Creato.


Per maggiori approfondimenti invito alla lettura di:
Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana.
P. Nicola Tornese SJ, Paradiso, Padri Gesuiti, Viale S.Ignazio, 51 – 80131 Napoli.

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