XXVI
domenica del tempo Ordinario/C
30 settembre 2007
Lc 16,19-31
[19]C'era
un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava
lautamente. [20]Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta,
coperto di piaghe, [21]bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla
mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. [22]Un
giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo.
Morì anche il ricco e fu sepolto. [23]Stando nell'inferno tra
i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro
accanto a lui. [24]Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà
di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi
la lingua, perché questa fiamma mi tortura. [25]Ma Abramo rispose:
Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro
parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in
mezzo ai tormenti. [26]Per di più, tra noi e voi è stabilito
un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono,
né di costì si può attraversare fino a noi. [27]E
quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di
mio padre, [28]perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché
non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. [29]Ma Abramo rispose:
Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. [30]E lui: No, padre
Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno.
[31]Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche
se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».
Domanda:
Questa parabola ha dei paralleli in testi antichi di altre religioni?
Risposta: Si, si trova un racconto simile in scritti dell’antico
Egitto, nella storia di Bar Ma’yan. Questi, ed altri racconti
simili dell’antichità, che trattano del rovesciamento nella
vita futura della condizione che si ha in questo mondo, presentano delle
differenze con il racconto biblico: non vi è menzione alcuna
di un dialogo tra un giusto, in comunione piena con la divinità,
e un ricco avaro (Abramo e il ricco epulone); inoltre, non si trova
neanche la tranquilla reazione del povero Lazzaro, che non esulta per
la punizione del ricco. La Bibbia c’insegna così, ché
nel Regno di Dio non vi è posto per il rancore o le condanne.
L’uomo si condanna da sé con la cattiva gestione del libero
arbitrio.
D: Cosa vuol dire che il povero Lazzaro fu portato
dagli angeli nel seno di Abramo?
R: Vuol dire che il povero ebbe un posto d’onore nel Regno divino
(cfr. Lc 13,28-29; Gv 13,22).
D: Che altro vuole insegnarci, Gesù, con
questa parabola?
R: Che non ci si può ritenere figli di Abramo, cioè eredi
del ricostituito Regno d’Israele, solo con le semplici parole.
In virtù di quest’insegnamento, il Maestro divino oggi,
invita ognuno di noi a non dirci cristiani solo a parole per poi vivere,
praticamente, da atei o da agnostici, da deisti oppure da scettici.
D: Chi è il vero cristiano?
R: Chi pone al centro della sua vita il Vangelo di Cristo; chi trasforma
la sua esistenza, giorno per giorno, sulla base delle parole del Maestro
divino; chi partecipa in modo costruttivo alla vita della Chiesa e quindi
allo sviluppo del Regno di Dio su questa realtà terrena.
D: Il ricco epulone è condannato per la
sua ricchezza?
R: No, egli parlando con Abramo attribuisce il cattivo esito della sua
esistenza all’ignoranza: non sapeva! Sarebbe bastato un segno
prodigioso dal cielo e avrebbe creduto (Abramo però lo smentisce:
neanche un segno dal cielo lo avrebbe portato a conversione) .
Il motivo della sua condanna non è la ricchezza in se stessa,
ma l’uso egoistico di essa; non è neppure l’ignoranza
perché, chi non ascolta Dio che parla attraverso la coscienza
e la Sacra Scrittura non cambierà vita neppure dinanzi ad un
miracolo; egli si è condannato perché non ha saputo prendere
la vita come un dono, non ha concepito la solidarietà.
D: La condanna del ricco è presentata come
un castigo di Dio?
R: No, Egli si mostra chiuso nei suoi interessi terreni e nella sua
ricchezza in modo tale che giungendo nella luce di Dio che è
dono d’amore si trova inutile e vuoto. La condanna consiste in
questo destino del ricco che ha scelto una forma d’esistenza che
è contraria al disegno di Dio sull’uomo. Non è,
quindi, Dio che lo condanna ma se stesso, con il suo stesso agire.
D: Il povero Lazzaro si salva perché è
stato sfortunato in questo mondo?
R: No, è accolto in Paradiso perché è aperto a
Dio e si lascia guidare dalla forza del suo amore e dalla Grazia.
PARADISO
IV parte
D: In quali passi del NT, troviamo la dottrina
sul Paradiso pur senza l’accenno al termine “paradiso”?
R: In numerosi passi neotestamentari. In questi, si evince che per il
pensiero certo degli apostoli e dei discepoli di Cristo Gesù,
subito dopo la morte vi è uno stato di felicità, per chi
ha corrisposto, seppur con tutti i limiti della natura umana ferita
dal peccato originale, al disegno di Dio.
D: In particolare quali sono questi passi?
R: Importante è proprio la parabola di Lazzaro povero e buono,
emarginato dal ricco egoista. Lazzaro muore di stenti ed è portato
dagli angeli nel “seno di Abramo”, cioè al “banchetto
celeste” (immagine simbolica del profetiamo, che riguarda la felicità
eterna dei giusti). Abramo è presentato come il capotavola perché
Padre di tutti i credenti (cfr. Gen 17,1-8; Lc 19,9; Rm 4,11-12). Partecipare
al banchetto di Abramo vuol dire, prendere parte alla stessa felicità
del gran patriarca e Lazzaro riceve il posto d’onore accanto al
capotavola (cfr. Gv 13,23).
D: Che cosa vuol dire, S.Paolo, con le parole:
“Ho desiderio di andarmene per essere con Cristo”?
R: Nella lettera ai Filippesi 1,21-13, S.Paolo usa il verbo greco “analysai”;
questo verbo nel NT significa “andarsene” e designa la morte,
velandone delicatamente l’aspetto orribile. Lo stesso significato
ha in 2Tm 4,6 dove S.Paolo parla della sua partenza verso il porto sospirato
del Cielo, vale a dire, della morte e riunione con Cristo. S.Paolo,
in queste lettere, afferma chiaramente che la morte non è la
fine dell’esistenza, ma un passaggio ad un’altra dimensione
dove ci si ricongiunge con il nostro Signore Gesù Cristo (cfr.
Rm 8,28; Lc 23,43; 2Cor 12,1-4). L’Apostolo, qui, non si riferisce
alla fine dei tempi, al ritorno conclusivo del Messia, poiché
egli sa che all’evento della Parusia, i vivi non vedranno la morte,
ma andranno con Cristo o con Satana. S.Paolo distingue bene tra un primo
giudizio particolare per ogni creatura umana, al momento della morte
fisica e un secondo giudizio universale al momento dell’avvento
definitivo del Cristo. La distinzione, S.Paolo, la mostra proprio nell’affermare
che se è opportuno che egli non s’incontri ancora con Cristo
per essere d’aiuto all’evangelizzazione, sia fatta la volontà
di Dio (cfr. Fil 1,24; 2Cor 5,6-8). Alla fine dei tempi sarà
inutile rivolgere a Dio tal tipo di preghiera, perché l’evangelizzazione
sarà terminata e tutti, vivi e morti andranno nella dimensione
divina o nella dimensione infernale.
D: Dove, S.Paolo fa, precisamente, la differenza
tra la morte fisica e la Parusìa?
R: In 2Cor 5,2-8; L’Apostolo delle genti esprime, qui, il desiderio
che il ritorno del Signore (Parusìa) lo trovi ancora in questa
vita; tuttavia non esclude che la Parusìa sia ritardata ed egli
morirà prima. Questo pensiero in qualche modo lo rattrista perché
la morte spoglia l’uomo di qualche cosa che lo completa, cioè
della dimora o tenda terrestre, che è il corpo.
D: Qual è la natura del Paradiso?
R: Il Paradiso annunciato dal Signore Gesù, non è una
realtà che sussisterà su questa terra. Esso è di
natura ben più elevata, degno dell’uomo fatto da Dio a
sua immagine e somiglianza: il Paradiso è la Patria Celeste,
lo stato di vita trascendente che consiste nella piena comunione con
Dio, fonte d’ogni gioia (cfr. Eb 11,13-16).
Per maggiori approfondimenti invito alla lettura di:
Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana,
P. Nicola Tornese SJ, Paradiso, Padri Gesuiti, Viale
S.Ignazio, 51 – 80131 Napoli.