III
domenica del tempo ordinario/C
21 gennaio 2007
Lc 1,1-4; 4,14-21
[1]Poiché
molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi
tra di noi, [2]come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni
fin da principio e divennero ministri della parola, [3]così ho
deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli
inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo,
[4]perché ti possa rendere conto della solidità degli
insegnamenti che hai ricevuto…
4 14]Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito
Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. [15]Insegnava nelle
loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi.
[16]Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò,
secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere.
[17]Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il
passo dove era scritto:
[18]Lo
Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri
un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
[19]e predicare un anno di grazia del Signore.
[20]Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente
e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di
lui. [21]Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta
questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi».
D:
Perché Luca fa precedere il suo racconto da un prologo?
R: Perché egli, avendo una non comune formazione linguistica
e alte qualità di scrittore, si propone d’ispirarsi alle
opere letterarie del suo tempo, nelle quali gli autori indicavano lo
scopo del loro scritto e la persona a cui lo dedicavano. Il prologo,
in esame, costituisce una proposizione letterariamente elaborata che
s’ispira allo stile ed al gusto della più pura e squisita
grecità.
D: Troviamo un prologo negli altri tre vangeli,
sulla linea di quello di Luca?
R: No, essi mancano di un prologo che richiami anche lontanamente quello
di Luca, né in essi vi è una parte introduttiva, pur brevissima,
nella quale si accenni all’indagine compiuta dall’autore
sacro ed agli intendi che questi si prefigge nel redigere il proprio
scritto.
D:
L’espressione iniziale di S. Luca, è da considerarsi un
giudizio negativo sull’attività orale o scritta dei suoi
predecessori?
R: No, egli non intende dire: “Poiché molti hanno scritto
cose non rispondenti alla veridicità dei fatti io mi pongo ad
indagare e a scrivere la verità”. L’autore,
afferma semplicemente che al suo tempo erano diffuse e conosciute varie
tradizioni e narrazioni sui fatti evangelici, e che egli intende usufruirne,
per scrivere una “biografia di Gesù” secondo la propria
esperienza del primissimo Cristianesimo da lui conosciuto. La constatazione
di S.Luca è preziosa per lo storico, perché egli indica
come gli attuali vangeli canonici abbiano utilizzato le notizie trasmesse
da questi “molti” che hanno parlato o scritto sulla
vita e sulla dottrina di Cristo.
D: Secondo l’esegesi attuale, quali sono
state le fonti di S. Luca?
R: “I Logia”: scritti e tradizioni che avevano
raccolto e trasmettevano la catechesi apostolica sui fatti della vita
di Gesù e sulla sua dottrina; inoltre il Vangelo secondo Marco
che S. Luca ha certamente letto, approfondito e utilizzato.
D: Chi erano questi testimoni fin dal principio,
e che son diventati ministri della parola?
R: Qui S. Luca si riferisce, logicamente, agli Apostoli, testimoni fin
dall’inizio della vita pubblica di Gesù e, dopo la Risurrezione
primi predicatori del Messaggio Salvifico. L’evangelista, accentua
il valore della testimonianza oculare e del ministero della parola che
presiede alla testimonianza scritta, venuta subito dopo.
D: S. Luca scrive: “…per te un
resoconto ordinato…”; il Vangelo secondo Luca è,
rispetto agli altri vangeli Sinottici il più sistematico?
R: In effetti, si può con giusta ragione rispondere di si, perché
mentre Marco segue più l’ordine cronologico dei fatti e
Matteo tiene più all’aspetto sistematico nell’esposizione
della dottrina e dei miracoli di Gesù; Luca evidenzia un certo
equilibrio nel mostrare i nessi logici tra la cronologia dei vari episodi
della vita del Maestro e la sua dottrina.
D: S. Luca scrive la sua opera per una singola
persona? Chi è questo “ottimo Teofilo”?
R: Non scrive per una singola persona. Il titolo onorifico “ottimo”,
che tradotto nel nostro linguaggio moderno starebbe per “illustre”
- “nobile di nascita” - “di casta superiore”
- “di elevata posizione sociale”, che egli premette al nome
“Teofilo”, ci fa capire che S.Luca scrive ad un personaggio
che aveva un certo ascendente su una comunità di persone e quindi,
secondo la consuetudine e l’opinione del tempo, attraverso Teofilo
egli scrive per la comunità di questi, per la sua gente.
D: Ha un significato simbolico, il nome “Teofilo”?
R: Si, Teofilo vuol dire: “Amato da Dio – amico di Dio”.
D: Che significato ha l’espressione: “Ritornò…con
la potenza dello Spirito Santo”?
R: S. Luca, con espressioni a lui care che ritornano più volte
nel suo scritto, afferma che il ministero del Salvatore fu caratterizzato
dalla manifestazione della sua potenza soprannaturale, con la quale
il Maestro operava miracoli che lo imponevano alle folle e suscitavano
in esse sentimenti di vivo stupore e di sincera approvazione.
D: Cosa erano le sinagoghe e cosa insegnava Gesù
in esse?
R: Le sinagoghe erano strutture, dove gli ebrei si riunivano per la
preghiera e per l’istruzione religiosa. L’insegnamento di
Cristo consisteva nella lettura e nel commento di alcuni testi presi
dalla Legge e dai Profeti (dai testi sacri).
D: Ogni Israelita adulto poteva leggere la sacra
Scrittura nella sinagoga?
R: Si, ma dietro invito del capo della sinagoga. L’israelita,
invitato a leggere si alzava in piedi, per rispetto alla Parola di Dio,
e proclamava il testo all’assemblea. Terminata la lettura si poneva
a sedere e ne dava spiegazione.
D: Quale messaggio simbolico, S. Luca vuole offrire
ai suoi lettori, attraverso la narrazione di questo episodio?
R: S. Luca ha voluto dar inizio al ministero pubblico di Gesù
proprio a Nazareth, la città nella quale l’Emmanuele aveva
passato tutto il periodo della sua vita nascosta; ai propri concittadini,
il Maestro rivolge il suo messaggio inaugurale pieno di bontà
e di speranza. Il deciso diniego di esso da parte dei nazaretani mostra
il triste destino che è toccato al popolo d’Israele che
in un rifiuto orgoglioso non riesce a riconoscere in Gesù il
Messia atteso, chiudendosi alla promettente speranza di Salvezza, che
è invece dischiusa agli umili ed ai poveri.
D: Fu casuale per Gesù, avere proprio il
testo di Isaia da leggere?
R: Si, però la pericope l’avrà scelta Gesù,
poiché in quel tempo, il passo veniva scelto dal lettore non
essendo ancora stabilito l’ordine delle sezioni profetiche, da
leggere nei singoli sabati e nelle altre feste ebraiche, come avverrà
nel giudaismo post-biblico.
D: Qual è precisamente, il passo che sceglie
Gesù?
R: Is 61, 1-2. L’evangelista nel riportare la pericope,
segue fondamentalmente la versione greca dei Settanta (traduzione della
Sacra Scrittura dall’ebraico al greco, realizzata da 70 saggi
ebrei), tralascia qualche versetto e ne aggiunge qualche altro, sempre
d’Isaia.
D: Quali versetti tralascia e quali aggiunge?
R: S.Luca tralascia: << A curare i cuori spezzati >>
(Is 61,1), e: << Un giorno di vendetta per il nostro
Dio >> (Is 61,2); introduce invece: << A rimettere
in libertà gli oppressi >> (Is 58,6).
D: Cosa richiama la consacrazione con l’unzione?
R: Richiama l’investitura dei re e la consacrazione dei sacerdoti.
D: Isaia, nella sua profezia, a chi si riferisce?
R: Egli allude ad un misterioso profeta che ha il compito di proclamare
“un anno di grazia” annunziando ai poveri, ai perseguitati
e ai sofferenti una lieta novella. Il passo isaiano annunzia la liberazione
d’Israele dalla cattività di Babilonia ed ha presenti le
loro tristi condizioni, causate dall’esilio forzato.
D: E Gesù, attribuendo a se stesso quel
passo, a cosa intende riferirsi se ormai gli ebrei sono liberi dall’egemonia
babilonese?
R: Sulle labbra del Messia, il testo profetico ha un significato altamente
spirituale e simbolico, poiché esso sintetizza il <<Vangelo>>,
compendia cioè, le caratteristiche della lieta novella. Il Maestro
dà l’annuncio ufficiale della sua missione liberatrice
ed inaugura l’era della Salvezza (“l’anno di grazia”
che richiama l’anno giubilare conosciuto dalla legislazione ebraica:
Lv 25,10-13).
D: Quale insegnamento spirituale ci viene da questa
lettura evangelica?
R: Gesù afferma: “Oggi si è adempiuta questa
Scrittura”. Colui nel quale tutte le promesse di Dio si sono
realizzate (cfr. 2Cor 1,20) non può leggere la parola divina
senza metterla in pratica. Fioriscono così i miracoli a favore
dei poveri, dei prigionieri, dei ciechi, degli oppressi. Cristo c’invita
a leggere il Vangelo al presente e non al passato, dobbiamo leggerlo
nell’oggi della nostra vita davanti a Dio. Solo su questa via,
anche il nostro tempo sarà un anno di grazia del Signore, la
vita sarà come il buon seme che dà frutti per il Regno
di Dio.
D: Qual è la visione complessiva che emerge
da questi due testi che la liturgia ci propone attraverso un’unica
lettura evangelica?
R: Per avere una visione complessiva, dobbiamo evidenziare tre conclusioni
principali:
a) Al principio sta il fatto di Gesù; noi dobbiamo accettarlo
come colui che viene da Dio e ci trasmette la forza dello Spirito;
b) Accettare Gesù, significa attualizzare la sua opera di liberazione
per gli uomini; solo chi segue il suo gesto, aiuta gli infermi e proclama
il Vangelo per tutti i poveri della terra, solo costui avrà inteso
il messaggio di Gesù secondo S.Luca;
c) Allo stesso tempo un autentico cristiano è obbligato a conoscere
“la solidità dell’insegnamento che riceve”
(cfr. Lc 1,4).
D: La lettura dell’inizio del vangelo secondo
S. Luca sollecita ad una domanda: cosa dice il Nuovo Testamento dell’esistenza
umana del Figlio di Dio?
R: Il NT afferma che il bambino nato da Maria è l’Emmanuele,
che significa Dio-con-noi (Mt 1,23). S. Matteo ci dice che
il bambino Gesù non era un puro uomo, ma l’uomo-Dio, ossia
l’Unico Dio realmente e sostanzialmente presente nel Figlio di
Maria. Inoltre nel Vangelo secondo Giovanni è detto: “E
il Verbo (la Parola) si fece carne (uomo) e venne ad abitare in mezzo
a noi”(Gv 1,14). Il testo greco di Giovanni dice: “E
il Logos (Verbo o Parola o Sapienza) pose la tenda in mezzo a noi”,
questo per dire che vi è un chiaro parallelo con Esodo 25,8 e
40,34-35, dov’è detto che Jahve era presente nella tenda
o dimora.
D: Dunque nell’uomo Gesù, l’unico
Dio Jahve era realmente presente?
R: Si, lo conferma S. Paolo quando dice che “Gesù il
Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro
geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo
la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil
2,5-8).
D: Ma S. Paolo dice che spogliò se
stesso, quindi è come dire che divenne puro uomo?
R: S. Paolo intende dire che Cristo rinunciò agli onori a lui
dovuti a motivo della sua uguaglianza con Dio. Chi rinuncia agli onori
non perde nulla della sua natura e dignità. S. Paolo dice, inoltre,
che in Cristo abita tutta la pienezza della divinità
(Col 2,9).
D: Perché Gesù si disse Figlio di
Dio e non Dio?
R: Gesù si disse Figlio di Dio, non nel senso che si definiva
una creatura come tutte le altre creature umane, ma nel senso di perfetta
uguaglianza col Padre nell’essere e nell’operare, e di una
relazione del tutto unica con Jahve. Egli dichiarò di essere
una sola cosa col Padre non solo nella volontà, ma anche nell’onnipotenza
(cfr. Gv 10,30). Gesù nel parlare ai suoi, distinguerà
sempre la sua filiazione col Padre, dalla filiazione degli uomini che
diventano figli di Dio nel Figlio, cioè nella sua Persona e per
i meriti infiniti di Cristo.
D: I giudei capirono questa pretesa di Gesù?
R: Sì, la capirono molto bene. Infatti, volevano lapidarlo come
bestemmiatore. Gesù nonostante ciò, non ritrasse le sue
dichiarazioni, anzi le confermò sostenendo che, tutti devono
onorare il Figlio come onorano il Padre (cfr. Gv 5,23) perché
il Padre è nel Figlio e il Figlio è nel Padre (cfr. Gv
10,38).
D: Quale fu la conseguenza della persistente pretesa
di Gesù?
R: I giudei lo considerarono degno di morte: “…Deve
morire perché si è fatto Figlio di Dio” (cfr.
Gv 19,7).
Per maggiori approfondimenti invito alla lettura di:
P. Nicola Tornese s.j., E voi chi dite che io sia?, 5° edizione,
padri Gesuiti, Napoli.
Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2° edizione, Brescia,
2002.
I classici blu –I QUATTRO VANGELI- Ed. BUR, 2005, Milano.