IV
domenica di Quaresima/C
18 marzo 2007
Lc 15,1-3.11-32
[1]
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo.
[2] I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori
e mangia con loro». [3] Allora egli disse loro questa parabola:
Il figlio perduto e il figlio fedele: "il figlio prodigo"
[11] «Un uomo aveva due figli. [12] Il più giovane disse
al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre
divise tra loro le sostanze. [13] Dopo non molti giorni, il figlio più
giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là
sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. [14] Quando ebbe
speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò
a trovarsi nel bisogno. [15] Allora andò e si mise a servizio
di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi
a pascolare i porci. [16] Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che
mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. [17] Allora rientrò
in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane
in abbondanza e io qui muoio di fame! [18] Mi leverò e andrò
da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e
contro di te; [19] non sono più degno di esser chiamato tuo figlio.
Trattami come uno dei tuoi garzoni. [20] Partì e si incamminò
verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro,
gli si gettò al collo e lo baciò. [21] Il figlio gli disse:
Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più
degno di esser chiamato tuo figlio. [22] Ma il padre disse ai servi:
Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli
l'anello al dito e i calzari ai piedi. [23] Portate il vitello grasso,
ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, [24] perché questo mio
figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è
stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
[25] Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu
vicino a casa, udì la musica e le danze; [26] chiamò un
servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. [27] Il
servo gli rispose: E' tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare
il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. [28] Egli
si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì
a pregarlo. [29] Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti
anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai
un capretto per far festa con i miei amici. [30] Ma ora che questo tuo
figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato,
per lui hai ammazzato il vitello grasso. [31] Gli rispose il padre:
Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è
tuo; [32] ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo
tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è
stato ritrovato».
D: Perché Gesù pone come protagonista
del primo atto della parabola, il più giovane dei fratelli?
R: Perché di solito il giovane, indotto spesso da un desiderio
smodato di libertà, si sottrae all’obbedienza di chi lo
guida con saggezza, compiendo atti precipitosi che ne compromettono
l’avvenire.
D: Si è comportato in questo modo, il figlio
prodigo?
R: Si, il figlio più giovane è venuto ad un compromesso
con suo padre. Egli ha ricevuto in denaro, l’equivalente dell’eredità
che il padre, gli avrebbe dovuto lasciare alla propria morte.
D: Attraverso l’esegesi del v.13, si può
capire in quale lontano paese era diretto il giovane?
R: Analizzando il testo greco, si evince che il figlio non aveva una
meta fissa da raggiungere, per godersi spensieratamente la vita con
il denaro di cui disponeva. Andava all’avventura, verso un piacere
senza regole.
D: Dopo aver sperperato i beni paterni, per il
prodigo, giunge anche la carestia; vi è qui un significato allegorico?
R: Si, la carestia aggrava ancor di più la sua situazione: egli
si sente solo e mancante di qualsiasi aiuto. Il peccato conduce alla
ribellione della natura contro l’uomo.
D: Però, almeno, il prodigo riuscì
a trovare un lavoro?
R: Per un ebreo, il mestiere di pascolare i porci, rappresentava la
massima umiliazione, perché l’obbligava a stare vicino
ad animali considerati impuri dalla Legge; l’ebreo che svolgeva
questo mestiere, veniva a trovarsi in uno stato d’impurità
legale (cfr. Lv 11,7; Mt 7,6).
D: Il prodigo scopre nel luogo dei suoi piaceri,
tempestivamente terminati, un clima implacabile nei suoi confronti,
vero?
R: Si, il proprietario dei porci è presentato come un esoso che
non dà agli operai neanche il minimo per potersi nutrire quotidianamente.
Al contrario, nella casa paterna, anche l’operaio giornaliero
trovava pane in abbondanza.
D: Il prodigo trova però la forza di rialzarsi?
R: Si, è consapevole del suo peccato, quindi vuole sollevarsi
dalla bassezza morale in cui è caduto. Inoltre è consapevole
che il peccato contro suo padre (cioè contro l’uomo/l’umanità)
è innanzi tutto, un peccato contro Dio che è legislatore
e norma suprema del bene.
D: Il prodigo non adduce nessuna scusa per discolparsi?
R: No, anzi, si dichiara apertamente indegno di venir riammesso nella
casa paterna ed essere trattato come figlio. Questa condizione è
richiesta ad ogni penitente che si accosta al sacramento della confessione.
D: Che forza, in queste parole: “non sono
più degno di esser chiamato tuo figlio”; possiamo scorgere
in esse un significato più profondo?
R: Certo, l’esser chiamato ha qui un senso pieno, secondo il valore
che ha il “nome” nel linguaggio ebraico; per gli ebrei infatti,
il nome non designa semplicemente la persona, ma ne indica l’essenza
e le qualità. Come se il prodigo dicesse: ho perso la dignità
e ogni diritto di figlio.
D: Gesù intende far comprendere la gioia
di Dio per il peccatore che si converte?
R: Si e lo fa attraverso immagini forti: “il padre lo vide e commosso
gli corse incontro” che tradotto letteralmente suona così:
fu commosso nelle viscere.
D: Come si comporta il prodigo?
R: Egli, avendo trovato un’accoglienza così affettuosa,
manifesta al padre il sincero pentimento della sua colpa e, nella commozione
dell’incontro, con voce, certamente, velata e interrotta da singhiozzi,
confessò tutta la gravità del male commesso.
D: Il padre è così contento che
pensa anche a regalargli un anello?
R: L’anello, però, indica la condizione di figlio. Egli
lo riabbraccia e l’accoglie ridonandogli questa piena altissima
dignità, così come Jahvé che nell’elargirci
il suo perdono ci ridona la dignità di figli di Dio, creati a
sua immagine e somiglianza, perduta con il peccato.
D: Il padre dice che il figlio era morto…;
vi è un valore allegorico in queste parole?
R: No, esse sono espressioni di un cuore di padre vibrante d’indicibile
commozione per il ritorno del proprio figlio; sono espressioni piene
di vivezza metaforica: un figlio che lascia la propria casa e vive lontano
senza far sapere nulla di sé, per il padre è come un morto.
D: L’atteggiamento del figlio maggiore può
essere interpretato in modo allegorico?
R: Si, tenendo conto del contesto, Gesù, attraverso l’immagine
di quest’altro figlio, intende accusare i farisei che nel loro
falso zelo religioso, hanno oscurato il vero concetto della misericordia
divina, scandalizzandosi della benevolenza del Maestro nei confronti
dei pubblici peccatori. L’atteggiamento dei farisei è in
aperto contrasto con la misericordia di Jahvé e la sua volontà
salvifica.
D: Gesù da un’immagine diversa dell’amore
di Dio, rispetto al concetto che avevano i farisei?
R: Si, il Maestro insegna che l’amore di Dio supera di gran lunga
la giustizia umana e il modo stesso di concepire la misericordia. Per
Jahvé ogni uomo è suo figlio, e il peccato, anche il più
grave non diviene ostacolo al suo perdono.
D: Cosa rappresenta il netto rifiuto del figlio
maggiore?
R: Rappresenta una grande durezza di cuore, una chiusura psicologica,
un restare “circoscritto” nel proprio orgoglio. Il figlio
maggiore era, si rimasto con il padre ma in effetti viveva distante
psicologicamente da lui, aveva tutto ma praticamente non aveva niente,
perché schiavo dei suoi beni e chiuso in se stesso.
Per maggiore approfondimento rimando alla lettura di:
Dizionario teologico enciclopedico, ed. Piemme, Casale
Monferrato (Al), 2004.
I Classici Blu, I Quattro Vangeli, ed. BUR, Milano,
2005.